La tiroide ‘dimenticata’

Dopo la diagnosi di ipotiroidismo la cura adeguata ha messo tutto a posto. Ma poi? Negli anni tante cose sono cambiate e quella terapia forse andrebbe aggiornata, altrimenti...

La diagnosi di ipotiroidismo risale a diversi anni fa. Al tempo vi eravate preoccupati, certo, ma poi la terapia ha rimesso tutto a posto. La terapia è diventata una abitudine e non ci avete più pensato.
In questi anni però tante cose sono cambiate: stili di vita, peso, menopausa o andropausa. Forse sono comparse delle patologie o avete iniziato cure anche preventive di lungo termine. Il dosaggio per la tiroidite quindi potrebbe non essere più adeguato.
Occorre prestarci attenzione prima di tutto perché una dose eccessiva o insufficiente potrebbe aggravare il rischio cardiovascolare, in secondo luogo perché una terapia divenuta inefficace potrebbe aver causato la comparsa di sintomi che frettolosamente avete attribuito allo stress o all’età.
Una dose insufficiente di ormone tiroideo può alterare il profilo lipidico, aumentando colesterolo e trigliceridi e aggravare una patologia cardiovascolare. Viceversa se la dose assunta ogni giorno risultasse eccessiva vi potreste trovare in una situazione di iper-tiroidismo.

Verificare la terapia

“A tutte le persone che hanno iniziato una terapia tesa a risolvere l’ipotiroidismo consiglio di verificare ogni anno, al massimo ogni 2 anni i livelli di ormoni tiroidei”, afferma l’endocrinologo professor Giuseppe Chiumello, per decenni docente alle Facoltà di Medicina dell’Università Statale e dell’Università San Raffaele di Milano.
Un consulto specialistico si impone:
  • se i valori risultano anche di poco fuori norma,
  • in caso di variazione importante nello stile di vita,
  • se compaiono patologie croniche,
  • in caso di gravidanza o menopausa,
  • se si avvertono sintomi anche sfumati e non specifici quali: stanchezza, sonnolenza, scarsa reattività, riduzione della memoria, depressione, immotivata malinconia.

Un intervento risolutivo

Questi sintomi, potrebbero non essere motivati, o perlomeno non interamente motivati dall’età o dagli eventi. “Questo significa che con una terapia adeguata è possibile non solo ridurre i fattori di rischio cardiovascolare, ma migliorare nettamente la qualità della vita e la sensazione di efficienza del paziente”, sottolinea il professor Chiumello che vive e lavora a Milano, “ci sono pochi interventi che ottengono così rapidamente un miglioramento nello stato di salute generale, nell’umore e nell’efficienza”. L’endocrinologo suggerisce ai figli di persone anziane di non dare per scontati o considerare incurabili le riduzioni anche lente e graduali nell’efficienza fisica o mentale dei loro genitori, soprattutto se era già stata loro diagnosticata una tiroidite.

Attenzione alle altre patologie autoimmuni

La causa principale di ipotiroidismo è la tiroidite autoimmune o di Hashimoto. La funzionalità della tiroide è ridotta o annullata dall’attacco del sistema immunitario. “Erroneamente si pensa che le patologie autoimmuni siano diagnosticate solo in età pediatrica”, nota Giuseppe Chiumello che è stato uno dei fondatori della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) “spesso le conseguenze di una patologia autoimmune si manifestano solo nella maturità o nella terza età. La tiroidite di Hashimoto è molto più frequente negli anziani che nei giovani”.
Chi soffre di una malattia autoimmune ha un rischio molto maggiore di svilupparne altre: diabete autoimmune, celiachia, morbo di Addison (insufficienza surrenalica tiroidismo solo per citare le meno rare. “È consigliabile quindi procedere a periodici ‘check up mirati’ sotto la guida di un endocrinologo, per diagnosticare e risolvere eventuali problemi”.

Una terapia da non dimenticare

Col tempo ‘prendere la terapia? per la tiroide’ diventa una abitudine consolidata. Si arriva quasi a dimenticare che la ‘pillolina’ è una terapia endocrinologica sostitutiva importante, che agisce su quasi tutti i sistemi dell’organismo.
È importante quindi tenerlo a mente e ricordarlo a tutti i medici con i quali si entra in contatto per una diagnosi o una cura, dai medici e gli infermieri di triage del Pronto Soccorso fino agli altri specialisti. L’ormone assunto, infatti, potrebbe interferire con l'azione di altri farmaci o ridurne l'efficacia.